08.
Jesu, meine Freude
Due serate con Johann Sebastian Bach
Giunge al termine l’anno e, con esso, la dodicesima edizione del Festival internazionale di musica antica
“Gaudete!”.
A coronamento del prezioso cammino, due serate dedicate a Johann Sebastian Bach, immortale compositore vissuto a cavallo tra l’ultimo quarto del diciassettesimo e la metà del diciottesimo
secolo.
Il 14 e il 21 dicembre, alle 21.00, nelle chiese M.V. Assunta, a Grignasco, e poi SS. Pietro e Paolo, a Borgosesia, prenderanno vita alcune opere del Maestro tedesco; protagonisti, il coro
polifonico Cantores mundi e l’ensemble strumentale Triacamusicale, con all’organo Silvano Arioli.
Gioielli del repertorio bachiano saranno eseguiti in dialogo con immagini zenitali di luoghi di culto di Franco Zampetti, fotografo e architetto.
Senza entrare nel merito dei brani, tutti da godere, complici anche strumenti storici di grandi valore ed effetto, preme in questo pensiero conclusivo sottolineare la minuziosa attenzione al
dettaglio caratterizzante ogni singolo appuntamento fin qui rappresentato, la ricercata stratificazione, la cura di ciascuna possibile connessione, con la volontà di coniugare esperienze di
diversi ambiti in una estesa, variopinta sinestesia - in questi estremi due appuntamenti gemelli, musica barocca e fotografia zenitale.
E proprio da quest’ultima traiamo slancio, rifacendoci alle parole dello stesso Franco Zampetti, utili per entrare nell’inconsueto universo: “Con la fotocamera zenitale – ci illustra – si scopre
un mondo sconosciuto e che pure esiste da secoli sopra le nostre teste”, il quale “apre orizzonti nuovi”.
Questo rimodellamento dell’opera architettonica spalanca inattese letture e interpretazioni ma, ammonisce Zampetti, anche la fotografia zenitale è assoggettata a regole, forse “più sottili o, se
si vuole, più concettuali”.
Dalle immagini alla musica ora, con un balzo indietro nei secoli, fino a Martin Lutero, a cui vien fatto risalire il coinvolgimento dell’assemblea nel canto liturgico, con cui si avvia la
partecipazione attiva dei fedeli i quali, da elemento passivo, divengono protagonisti del momento spirituale.
Su queste radici s’innesta la fioritura di Bach, il quale si fa custode e interprete della tradizione, ben
oltre un secolo più tardi.
Nelle partiture egli aggiunge inimmaginabili aperture, geometrie e strutture che conducono a significati ulteriori e inediti; dispiega e dilata ciò che l’orecchio – non l’occhio, nel caso – ha
dinanzi ma fatica a sviluppare, a intendere.
L’espressività è tuttavia consustanziale alle regole compositive, ferree nel geniale artista, e dal rigore della piana carta ecco emergere, concreta e tridimensionale, la musica.
Facile è il rimando all’immagine zenitale, in cui, pur distesa, è impressa l’architettura con le sue nervature, i suoi pieni e i suoi vuoti.
Così, alla luce di quanto ragionato, in attesa che ascolto e visione congiunti lo rivelino, sarà facile richiamare colui che intuì che, come l’architettura è musica congelata, così la musica è
architettura disciolta… liquida.
Nel pensiero di Goethe, l’opera di “Gaudete!”.
Franco Pistono
07.
GAUDETE! FRINGE
Tre eventi “ai margini” del Festival
Tre eventi “ai margini”, per meglio dire collaterali, caratterizzano l’appuntamento unico del 23 novembre con il Festival “Gaudete!”.
Si tratta di un fresco laboratorio didattico e creativo dedicato a bambini dai 4 ai 10 anni e di due presentazioni di altrettanti libri, che si svilupperanno presso il Centro Studi Giovanni Turcotti di Borgosesia, dalle 16.00 alle 22.00.
Osserviamoli da vicino. Il primo, a cura di Stefano Aietti e Vittorio Valenta, è un’avventura che inizia con Alice e il Coniglio Bianco, ai quali spetterà il compito di condurci nel Paese delle Meraviglie; tutto è più divertente lì e Alice ci farà ascoltare e “vedere” musiche piene di colori. Maga Magò e la Fata Smemorina danzeranno con cigni, ippopotami e maialini, mentre buffe cantanti ci spalancheranno le porte del magico teatro d’opera. Alla fine impareremo una poesiola che descrive un tenero animalino, che però nessuno ha mai visto; anzi, in realtà non esiste proprio, ma con la fantasia riusciremo persino a disegnarlo!
Il laboratorio nasce con l’intento di avvicinare i più piccini a musica, danza, opera lirica e poesia.
Passiamo al secondo momento, la presentazione del libro “Piccolo blu e piccolo giallo”, di Leo Lionni (Babalibri - Milano, 2015), proposto nell’edizione speciale contenente un cd con musiche di Robert Schumann. Si tratta di un viaggio tra parole, suoni, ritmi e colori, tutti congiunti, in un percorso poetico straordinario. Di Maria Cannata sono ideazione e progetto musicale.
Ancora una presentazione come terzo evento, nel dettaglio del libro “Sul filo della memoria”. Se ne occuperà Susanna Soncin, introducendoci a poesie e testimonianze dedicate ai più teneri e intensi sentimenti… nonne e nipoti raccontano, dando voce alle cose non dette, comunicando gioie, colmando vuoti, per salvare i ricordi dal possibile oblio del tempo.
Molti gli autori, tra i quali la stessa Susanna Soncin, per un omaggio alle relazioni più dolci, nonché per un’operazione di certa concretezza e sensibilità: finanziare un progetto solidale dell’Associazione Nonnoboi, per un laboratorio di sartoria presso l'Orfanotrofio di Kakamega, in Kenya.
Anche qui, naturalmente, sarà presente la musica, con il Maestro Silvano Arioli, cembalista e organista, in questa occasione autore di musica per l’infanzia composta su testi del grande Gianni Rodari (di cui ricorrerà nel 2020 il centenario dalla nascita) e Chiara Carminati, autrice anch’essa di testi e poesie per l’infanzia. Silvano Arioli accompagnerà alla tastiera le Cantores Singer Sisters, quattro ragazze di età compresa tra 12 e 16 anni: Caterina e Corinna Debiaggi, Rachele Allegra e Silvia Cesa, già voci bianche del coro polifonico Cantores Mundi di Borgosesia. Le giovani canteranno e concerteranno i brani di Silvano Arioli non solo con la voce, ma con strumenti quali violino (Silvia), tastiera (Corinna), glockenspiel e flauto (Caterina e Rachele), legnetti e semplici percussioni, alternandosi alla lettura di racconti scelti dal libro “Sul filo della memoria”, il tutto dalle ore 20.45.
Occuparsi di musica non è solo suonare; la musica si svela ed esprime anche armonizzandosi con attività collaterali come quelle in programma per il prossimo 23 novembre, impreziosendole.
Racconti, giochi, favole… tutto può trovare il migliore equilibrio, unito all’impalpabile, immateriale arte dei suoni; e in quest'articolata sinestesia, il passo si muove su orme lasciate lungo un sentiero di senso sempre attuale.
Franco Pistono
06.
ALLA RICERCA DI ORFEO
Storia di un mito
Il nome di Orfeo è al centro dell’appuntamento del Festival internazionale di musica antica “Gaudete!” fissato per fine ottobre.
Domenica 27 alle ore 18.00, al Teatro Lux di Borgosesia, lo spettacolo che andrà in scena si occuperà di ripercorrere le gesta del figlio di re Eagro e della musa Calliope partendo dalla classicità e, attraverso la modernità, approdando alla contemporaneità.
Con letture tratte da Poliziano, Ovidio, Rilke e musiche di Monteverdi, Vivaldi, Bach e altri, quella che si profila è una serata ricca, stratificata e coinvolgente, all’insegna della ricerca.
A Laura Torelli, voce recitante e a L’Astrée, formazione strumentale fondata da Giorgio Tabacco, il compito di dar vita ai capolavori dei vari, insigni autori e compositori.
Orfeo, mitico, suadente musico, è protagonista dell’occasione; celebre la sua storia dall’agro sapore, per contornare la quale ci rifacciamo a un pensiero di Rachmaninov, pur se non espresso nel merito.
Scrisse il geniale pianista: La musica nasce dal cuore e si rivolge al cuore. E’ amore. Sorella della musica è la poesia, e madre la sofferenza.
Amore, musica, poesia e sofferenza… ecco le coordinate, punti che, uniti, conchiudono l’esperienza di Orfeo; sull’ultimo ci soffermiamo, per accedere al mistero suo e dell’amata Euridice.
Nei pressi di Tempe, nella vallata del fiume Peneo, la giovane viene raggiunta da Aristeo il quale cerca di usarle violenza; nel tentativo di sfuggirgli, la sventurata incespica su un serpente e muore per causa del suo morso.
Non si dà pace Orfeo e, armato della sola sua lira, scende nel Tartaro alla disperata ricerca di lei.
Lì, dopo avere ammansiti Caronte e Cerbero e fatto cessare le torture ai dannati, riesce a placare il cuore di Ade, ritrovandola.
Insieme si incamminano verso la luce, diretti alla vita, ma ecco giungere, definitiva, la sentenza di condanna: prima di lasciare le viscere della Terra, Orfeo si volge, cercando con lo sguardo la compagna, violando così la sola condizione posta dal dio degli inferi e perdendola.
Il mito procede, ma noi, qui, ci arrestiamo.
Sorella della musica è la poesia, e madre la sofferenza, loro origine e ultimo destino dinanzi al quale anche l’arte cede… non può salvare, non può sciogliere il legame tra morte e amore; pur se quest’ultimo è intendibile come negazione della prima – non è forse amore, a-mors, il suo esatto contrario? - di fatto, non può.
Tuttavia può tentare e tenta, si allunga e sfiora, giunge prossima, camminando sul confine tra gli opposti, cercando di accostarne i bordi, di comporli.
Questo può essere il senso del mistero di Orfeo, di un mito narrante cacciatori e prede, catabasi e risalita, muse e menadi, questo il ruolo dell’arte, nel renderci divini e mortali, forti e fragili, cacciatori e prede, divisi e uniti… finalmente umani.
Franco Pistono
05.
LAMENTATIONES JEREMIAE PROFETAE
Orlando di Lasso e la musica come simbolo, oltre il tempo
Informare e illustrare, questi i fuochi dei pensieri di apertura dedicati agli appuntamenti del Festival “Gaudete!”, unendo aspetti pratici (introdurre i concerti) a tratti intimi (condividere emozioni e punti di vista), facendo di due metà un unico organismo; simbolicamente. Perché simbolo letteralmente è congiunzione di parti, è “mettere insieme”.
Nella Grecia antica, infatti, il “simbolo” era uno strumento di riconoscimento, di controllo, ottenuto spezzando in due un oggetto in modo irregolare, così
da farne combaciare i pezzi all’atto della prova.
E’ questa premessa etimologica che ci porta all’evento di venerdì 27 settembre, alle ore 21.00, presso la Chiesa di Santa Maria Assunta di Armeno (No), con
replica il 5 ottobre, alla stessa ora, presso la Chiesa di San Giovanni Battista a Carcare (Sv), un evento che si presenta quale vigoroso, potente simbolo.
Se la musica sempre congiunge e richiama, se evoca e apre a nuove comprensioni, qui lo fa in modo assai stratificato e dirompente.
Le Lamentazioni, testo incluso nella Bibbia dopo il Libro di Geremia e attribuite al profeta stesso nel tempo in cui Orlando di Lasso ne prese spunto per la
sua opera polifonica, sono dedicate a Gerusalemme, distrutta da Nabucodonosor nell’anno 586 avanti Cristo. La città santa, devastata dalle truppe del re babilonese, viene dall’autore paragonata a
una vedova afflitta; la domanda che si pone la donna è ’ekah, come mai?
La musica di Orlando di Lasso è un’amplificazione del testo biblico. Composta nel 1584, con struttura polifonica a cinque voci, si caratterizza per estrema
aderenza (ancora una volta simbolica) alla poesia che sostiene. Le voci sono quelle del popolo che soffre, che scappa, che si trova nudo dinanzi a circostanze inasprenti l’interrogativo: come
mai?
L’avvenimento viene artisticamente indagato anche attraverso altri accostamenti, con colori – le emozioni della luce – che accompagnano l’anima incedente:
dal blu saturo e prossimo al nero delle domande si passa al viola del lutto, si tocca il bianco di Dio, il giallo citrino per pulire le virtù dell’uomo dalle impurità, il verde vitale della
speranza e si sfocia nel rosso, verso l’uomo nuovo, immerso nella luce totale.
La scena è concepita come caleidoscopio dell’espressione, che si rivela mutando in lamento suoni, luci, immagini e spazi.
La guerra, la fame e la “distanza di Dio”, ieri come oggi, sono compagne di tragici viaggi. Qui la musica li trasfigura, ammantandoli di impossibile
leggerezza e provvidenziale, magica evanescenza, ma altrove tutto resta grave e immutabile come una condanna.
Non ci sottrae la stessa Bibbia al dubbio, e se la veste più recente delle Lamentazioni termina con una confortante affermazione - non ci hai
rigettati per sempre, né senza limite sei sdegnato contro di noi. - altre versioni riportano una chiusa interrogativa: ci hai forse rigettati per sempre, e senza limite sei
sdegnato contro di noi?
Se la realtà è inevitabilmente cangiante rappresentazione di chi osserva e ascolta, forse ruolo dell’arte è farsi interprete e, prendendoci per mano,
mostrarci e sussurrarci la più autentica, la più pura: la più umana.
Franco Pistono
04.
MUSICA SECONDO NATURA
L’Orchestra nazionale barocca dei conservatori italiani suona Tartini
Il Festival internazionale di musica antica “Gaudete!” giunge all’ultimo
appuntamento estivo con un evento profondamente significativo.
Presso la Chiesa della Madonna del Popolo di Romagnano Sesia (No), domenica 8 settembre, alle 18.00, l’Orchestra nazionale barocca dei conservatori italiani suonerà Giuseppe Tartini; titolo della
serata è “Musica secondo natura”.
L’orchestra debutta ufficialmente a Palermo nel 2016, sostenuta dal Dipartimento per la formazione superiore del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca (Miur), affrontando
repertori che spaziano dalla musica sacra a quella profana del barocco europeo, con in programma vari autori, più o meno noti.
I giovani musicisti, reclutati attraverso apposite graduatorie per ciascuno strumento, sono condotti da quattro guide d’eccezione: Enrico Gatti e Marie Rouquié, entrambi violinisti, Gaetano
Nasillo, violoncellista e il flautista Marcello Gatti.
Affacciandoci alla serata, una riflessione centrata sul titolo. Musica e natura fu un binomio familiare a Tartini, il quale indagò il primo termine (musica) indubbiamente con sguardo artistico,
ma anche scientifico, dedicandosi alla ricerca delle spiegazioni fisiche dei fenomeni acustici, esplorando il secondo (appunto, natura).
Tartini scoprì il cosiddetto “terzo suono” che da lui prese il nome, ovvero una nota generata da due altre eseguite congiuntamente; la nuova frequenza, diversa e coerente, deriva dalle prime, è
frutto dalla loro sostanza.
Ora, con prevedibile ma utile slancio metaforico, identico processo si ha con l’essere umano che, armonizzando le proprie intenzioni (si diceva delle eccellenti guide poche righe sopra), promuove
la formazione e lo sviluppo di altre affini.
Certamente non suoni nel caso, ma affetti e comportamenti, i quali comunque originano inedite armonie, consonanze e, infine, tradizioni.
Scavando attorno alla parola, mettendone a nudo le radici, vediamo che tradizione deriva da tradere, cioè trasmettere, consegnare. Il musicista diviene così curatore e custode di qualcosa da
“passare”, da, finalmente, insegnare – ancora, in-signare è imprimere, fissare – rivolgendosi al domani, sfidando l’eterno.
E in questo processo, in questa tensione tanto nobile e umana, ravvisiamo che ogni atto superfluo, ogni manierismo fine a se stesso, risulta inutile, anzi grave, poiché tutto, naturalmente, deve
prestarsi alla più chiara comprensibilità.
Torniamo allora, chiudendo il pensiero, al cuore dell’estetica tartiniana, in cui la musica poeticamente declama, ricercando l’essenza delle cose, nella quale ciascun gesto (virtuosismi compresi,
ove presenti) è utile e, di più, necessario e non esistono affettazioni né incertezze, bensì “canti ai quali è impossibile non attribuire un senso e dove si intravede appena che la parola
manca”.
Accogliamo dunque domenica sera, quale dono, lo spirito dell’insigne violinista istriano, per il tramite dei giovani orchestrali e dei loro quattro custodi, per cinque concerti e una sonata
intimamente secondo natura.
Franco Pistono
03.
UNA TASTIERA PER DUE
Tre sonate di Mozart per clavicembalo a quattro mani
Il Festival internazionale di musica antica “Gaudete!” entra nella sua parentesi estiva con un appuntamento tutto dedicato a una delle figure più straordinarie del panorama musicale di ogni tempo: Wolfgang Amadeus Mozart.
Sabato 20 luglio alle 21.00, presso la Casa dei Padri, in piazza della Vittoria 5, ad Armeno,sulle pendici del lago d’Orta, Mario Stefano Tonda e Alberto Firrincieli eseguiranno tre sonate per clavicembalo a quattro mani del celebre compositore austriaco: nel dettaglio la KV 381, la KV 19D e la KV 521.
I brani segnano tre momenti molto differenti della vita di Mozart: la KV 19D è il frutto del genio di un bambino di appena 9 anni, la KV 381, composta a sedici anni, incarna la prima giovinezza e l’ultima, la KV 521, è del 1787, dunque di quattro anni precedente la morte di Wolfgang Amadeus, avvenuta nel 1791, all’età di soli trentacinque anni.
I musicisti, di raro spessore (entrambi pianisti, clavicembalisti e musicologi), formano il duo “Harpsichord for two”, con all’attivo varie attività concertistiche e incisioni di coppia. E’ curioso sottolineare questa peculiarità – il lavoro in coppia – non solo a livello puramente musicale, dunque uditivo, ma anche cogliendo altre prospettive, prima fra tutte l’inatteso richiamo alla componente visiva. Parlando di musica (peraltro antica) può sembrar dissonante riferirsi alla vista ma, specialmente nel caso, non lo è; al contrario è coerente. Intorno al 1780 il pittore Johann Nepomuk della Croce immortalò Mozart, allora poco più che ventenne, seduto alla tastiera di un clavicembalo accanto alla sorella Maria Anna, chiamata affettuosamente Nannerl. Appoggiato allo strumento, nel dipinto è presente il padre Leopold, anch’egli rivolto all’osservatore, recante un violino. Alla parete, un ovale raffigurante la madre Anna Maria, da poco scomparsa, completa il quadro familiare. Amadeus e Nannerl sono ritratti nell’atto di suonare, con l’elegante gestualità tipica della esecuzione a quattro mani, durante la quale si realizza un vero e proprio intreccio, una danza degli arti superiori degli interpreti impegnati sui tasti.
Oltre agli ostacoli propriamente tecnici, i quali l’osservatore può immaginare, pur nella fissità della tela,
immediatamente si svela l’intesa emotiva che quei gesti impongono, l’intima unione dei musicisti, che sono chiamati a condividere il breve spazio di una tastiera (o due, nei clavicembali a più manuali) ma anche, in quella metafora dell’esistenza, la sfera privata.
Ecco dunque che il gesto che genera il suono si accende di ulteriore, inattesa espressività, mai fine a se stessa, bensì utile, anzi indispensabile, alla esecuzione medesima. Così il clavicembalo diventa palcoscenico, diviene teatro dell’azione. Sabato sera, distanti dall’immobile prigionia del quadro, Alberto Firrincieli e Mario Stefano Tonda ridaranno vita a quegli antichi, fraterni tratti, con tre sonate tutte da ascoltare, e vedere.
Franco Pistono
02.
FILOBAROCCO: il piacere della ricerca
Il giovane ensemble italo-svizzero ospite al Festival “Gaudete!”
Filobarocco è il protagonista del secondo appuntamento del Festival internazionale di musica antica “Gaudete!”.
L’ensemble, nato dall’incontro di musicisti attivi all’interno delle classi di violino, flauto dolce e musica da camera dei conservatori Giuseppe Verdi di Como e della Svizzera italiana, si esibirà domenica 26 maggio, alle 18.00, nella Chiesa di San Giorgio, a Lozzolo.
Quattro musicisti, tutti giovanissimi, sono le anime della formazione. Con un’età compresa tra i 21 e i 31 anni, incontriamo Maria Luisa Montano, al flauto dolce, Carlo Maria Paulesu, al violoncello, Francesco Facchini, al violino e Marco Baronchelli al liuto.
Da subito orientato alla ricerca di proprie sonorità e personalità artistica, Filobarocco si rende stilisticamente riconoscibile sin dai primi concerti, in cui vengono sperimentati confronti tra musica antica e diversi generi di musica popolare, in particolare irlandese.
Anche il programma del 26 propone gustosi accostamenti, con nomi quali Telemann, Veracini, Falconiero e altri compositori coevi.
Del primo, a proposito delle incursioni in registri non propriamente classici, è utile ricordare lo stupore provato dinanzi alla cosiddetta “bellezza barbarica” della musica tradizionale polacca.
Il contrasto tra quella ruvida semplicità e la raffinatezza delle opere composte per gli ambienti di corte fu per Telemann fonte di idee e stimoli continui e inaspettati; fu una sfida a spingersi oltre i confini del suo tempo.
Il tentativo di cogliere un punto di sintesi tra stili diversi, forme differenti, fa da sempre intimamente parte del patrimonio della musica. Paradossalmente essa riesce a esprimere il mondo a un livello più ricco e profondo di ogni altra forma d’arte proprio in virtù dell’indeterminatezza che le è propria, proprio per via dell’impossibilità – pur dicendo – di significare; questo perpetuo investigare, questa fatica, diventano qualità che le rendono possibile connettersi direttamente all’anima di chi ascolta.
Il suo incessante fermento, l’essere aperta alle indagini, pronta a “riscriversi”, favorisce, con un’elastica, ardita parentesi, l’accostamento al pensiero di un noto scrittore, saggista e poeta statunitense: Raymond Carver. Nell’opera dal titolo “Il mestiere di scrivere” egli annotò il piacere di armeggiare a più riprese attorno a un racconto dopo averlo scritto, cambiando parti qui e là, sostenendo “può darsi che io corregga perché così facendo mi avvicino pian piano al cuore dell’argomento” per “tentare di scoprirlo”, in modo che divenga “un processo, non una posizione stabile”.
E proprio di questa bellezza dell’instabilità, del piacere della ricerca, ci parlerà Filobarocco, con la convinzione che, parafrasando Montale, “le note sono di tutti e invano si celano negli spartiti”; ovunque e di chiunque essi siano.
Franco Pistono
01.
RITRATTO DI SOVRANA
Al primo appuntamento del Festival “Gaudete!” protagonista è Christina di Svezia
“Alltid densamme” (tradotto dallo svedese, Sempre la stessa) è il titolo della performance che inaugura la dodicesima edizione
del Festival internazionale di musica antica “Gaudete!”.
L’11 maggio alle ore 21.00, presso il teatro Giletti di Valdilana (Bi), il sipario si apre sulla vita di Christina, sovrana di
Svezia dal 1632 – aveva soli 6 anni all’epoca, da cui il soprannome di regina bambina – fino all’abdicazione avvenuta nel 1654.
Tre i protagonisti dell’affascinante rappresentazione: Deda Cristina Colonna, Mara Galassi e Vincenzo Raponi. Regista e
coreografa la prima, con un fitto repertorio incentrato sul periodo barocco, danzatrice e attrice con una competenza e un’attenzione specifiche verso il gesto retorico e la recitazione in
stile.
Arpista la seconda, anche lei con un curriculum d’eccezione costellato di esperienze all’interno dei più famosi ensemble di
musica antica d’Europa.
Completa il trio artistico il lighting designer (progettista dell’illuminazione) che accompagna l’esperienza con giochi di
luce svelanti il complesso personaggio di Christina.
La performance, di un’ora e un quarto circa, coniuga musica, recitazione e danza. Si parte con Christina sul letto di morte e,
in un caleidoscopio di ricordi che ci conduce a ritroso, fino a toccare il periodo dell’infanzia, si giunge all’annuncio del trapasso.
I monologhi di Deda Cristina Colonna, frutto dell’indagine di documenti originali, tra cui l’autobiografia di Christina, si
sposano alle note dell’arpa di Mara Galassi, restituendo le atmosfere dell’epoca con brani di compositori attivi alla corte.
Proiettori tradizionali, torce, candele, specchi e led completano il quadro sottolineando, nella varietà del loro apparire, le
sfaccettature della sovrana.
Modernità e tradizione dunque, amalgamate in questo esordio di “Gaudete!”, ci parlano di una donna dalla personalità composita
e inaspettata, di spiccate intelligenza e passione, aperta all’innamoramento ma con forti riserve (“si sappia che il matrimonio suscita in me una profonda ripugnanza”), capace di relazioni
consuete e di più arditi amori (“io sono vostra in una maniera per cui è impossibile che voi mi possiate perdere”, scrisse a una dama di corte di nome Ebba Sparre).
L’indagine, lo scavo di Christina, avviene in un incontro che coinvolge i sensi, in cui le corde seducono l’udito, gli specchi
scompongono e ricompongono la frastagliata essenza della sovrana e la sua corporeità, e gesti e narrazioni trovano perfetta sintesi retorica.
Tre attori quindi, tre artisti, per un risultato unitario e unico.
Scrisse Baudelaire “Ieri mi hanno portato a teatro. Dentro grandi e tristi dimore in fondo a cui si vedono il cielo e il mare,
uomini e donne, seri e immalinconiti, ma più belli e meglio vestiti di quelli che vediamo sempre, parlano con una voce che canta” e poco oltre “E si ha paura… hai voglia di piangere, e sei
felice… E poi, la cosa più strana, è la voglia di mettersi quegli abiti, di dire e di fare gli stessi gesti, di parlare con quella stessa voce…”.
Le emozioni che percorrono “Alltid densamme” ci mettono alla prova, ci spingono all’introspezione e dietro – o meglio, dentro
– le maschere, nella loro varietà, ciascuno riscopre l’essere umano, il sé e l'altro, letteralmente, la persona.
Per le anime che vogliono riflettersi, dunque, l’invito è per sabato sera, alla corte di Christina.
Franco Pistono